Si è da poco concluso il Festival del Cinema Africano, d’Asia e America Latina, che nella sezione “Films That Feeds” quest’anno presentava una selezione di film legati all’alimentazione e alle tematiche di Expo2015.
Ecco il racconto di Arianna, la nostra inviata speciale durante una delle giornate del Festival.
Cinema Spazio Oberdan (Milano), 9 maggio 2015
Ore 14.15 La sala 1 è gremita di gente e il brusio di sottofondo è talmente fitto da costringermi quasi a urlare per rispondere a una ragazza che mi chiede se si trova nel posto giusto per assistere alla proiezione di “Menù Caffè Corretto”. Poco dopo sopraggiungono due delle organizzatrici dell’evento; la prima a prendere in mano il microfono fa parte del team di Soleterre Onlus e, con un po’ di esitazione dovuta all’imbarazzo di parlare a un pubblico così vasto, ci illustra gli obiettivi del progetto “Caffè corretto: la via del caffè tra Guatemala, El Salvador e Italia”, elaborato in collaborazione con Africa 70, il Centro Orientamento Educativo e l’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Lo scopo primario dell’iniziativa è quello di far fronte alle difficoltà incontrate oggigiorno dai coltivatori di caffè, i quali sopravvivono a stento a causa delle dure leggi del mercato in tempo di crisi e della diffusione di parassiti che danneggiano le coltivazioni.
Poi, è la volta di una giovane salvadoregna che ci invita, terminata la visione dei documentari, alla “Merenda delle Meraviglie” presso il vicino Festival Center; le tre principali comunità del Salvador presenti nel nostro paese, ovvero la “Comunidad Salvadoreña en Como”, la “Comunidad Monseñor Romero en Milán” e il “Círculo Bohemio Literario de Salvadoreños en Italia” hanno deciso di allestire, in occasione del 25° Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina, una mini degustazione di dolci e piatti salati tipici della propria terra natale.
Alle 14.30 inizia la proiezione del primo documentario intitolato “Caballeros del Café”: si tratta della storia di Ivan, coltivatore di caffè da generazioni. Indebolito dall’età che avanza e scoraggiato dall’indifferenza totale del governo, l’uomo mostra alle telecamere il procedimento ancora arcaico con cui vengono raccolti e fatti seccare i grani grazie al calore del sole. “Il caffè migliore si esporta, il colombiano consuma quel che rimane”; è questa la dura realtà che affligge i contadini locali, ai quali non resta che rimpiangere i tempi d’oro dei loro padri. Intanto, continuano a lavorare per la sopravvivenza, nella speranza di riuscire a lasciare qualcosa in eredità alle generazioni future.
Ore 14.45 inizia il lungometraggio tanto atteso: Buscando a Gastón di Patricia Pérez.
Può un cuoco cambiare il suo Paese
con il cibo?
La prima immagine del film Buscando a Gastón di Patricia Pérez ritrae proprio lui, il protagonista, Gastón Acurio, lo chef più celebre e premiato del Sud America. Questo quarantasettenne un po’ corpulento e dal viso sempre sorridente ha rivoluzionato la concezione culinaria del Perù e, soprattutto, ha conferito a un paese dilaniato dal terrorismo e dall’ingiustizia sociale, un’immagine nuova, quasi sognante. L’amore che nutre per la propria nazione e per la gente che la popola è incondizionato; rampollo di una famiglia agiata e avendo avuto la possibilità di viaggiare e di studiare nelle migliori scuole di cucina, a un certo punto della sua vita, ha sentito il bisogno di aiutare i più indigenti.
Nel film vediamo quanto sia dedito all’impegno sociale e al riscatto del Perù: ha fondato la “Pachacutec School of cuisine” per aiutare i ragazzi poveri di Lima, ha finanziato la ristrutturazione della mensa della scuola elementare della stessa città, introducendo alimenti genuini, ricchi di vitamine e gustosi (particolarmente toccante è la scena in cui, dopo aver assaggiato la zuppa “huancaína” di una bidella della struttura, Gastón comunica alla donna che inserirà il piatto nel menù del proprio ristorante di Lima e che gli attribuirà il suo nome). Il cuoco ha favorito la creazione di orti scolastici per incentivare l’adozione di abitudini alimentari più salutari e ha dato il via all’instaurazione di un rapporto diretto tra pescatori e “cevicherie” (ristoranti specializzati nella preparazione del piatto tipico peruviano e cioè, una ricetta a base di pesce o/e frutti di mare crudi e marinati nel limone accompagnati da peperoncino e coriandolo).
Il fulcro della filosofia di Acurio sta nella salvaguardia della biodiversità dei prodotti locali; a tale scopo è necessario sostenere le produzioni autoctone, come le coltivazioni di quinoa e la vastissima varietà di peperoncino nelle Ande. Vi è anche un forte messaggio sociale a favore dell’emancipazione femminile, visto che l’85% dei coltivatori di quinoa sono donne. Per sensibilizzare il mondo verso questi temi, lo chef peruviano ha creato il “Festival Mistura” di Lima, una fiera organizzata con il supporto della “Sociedad Peruana de Gastronomía (Apega)” (associazione civile senza fini lucrosi, presieduta dal giornalista Bernardo Roca Rey), dove vengono esposti alimenti provenienti da ogni angolo del paese.
Gastón Acurio è ormai un eroe, nonché un punto di riferimento per piccoli, giovani e anziani. Durante il film, che dura circa 80 minuti, lo chef ribadisce di continuo il suo messaggio: offrire un prodotto di alta qualità, delizioso, sano, preparato con ottimi ingredienti da persone creative, lavoratrici, responsabili, sognatrici, rispettose del cibo che hanno tra le mani e a completa disposizione del prossimo. Se si agisce seguendo questi pochi precetti, sarà possibile incrementare l’economia nazionale e stimolare il lavoro giovanile.
Il lungometraggio si conclude con un primo piano del protagonista che, quasi a voler ridimensionare il suo operato, afferma: “Mi chiamo Gastón Acurio, sono di Lima e sono un cuoco”.
Dopo un lungo applauso, la sala si svuota e ci dirigiamo tutti verso il Festival Center per gustare la merenda salvadoregna; la fila di gente arriva fino all’ingresso ma scorre veloce. Ben presto mi ritrovo davanti a un banchetto ricco di piatti: “quesadillas” (dolce con formaggio fresco e semi di sesamo), “empanadas“ (fagottini di pasta ripieni di carne), “pasteles“ (mini torte fatte con banane, patate dolci, radici di taro e, talvolta, ripiene di carne), “casamiento” (composto di riso e fagioli) e “pupusas” (focaccia di frumento con formaggio e fagioli). Le bevande, invece, includono caffè e “chica“, ossia mais fermentato con zucchero di canna.
Scritto da Arianna Rimoldi e curato da Viviana Brun, nell’ambito del corso di formazione dei volontari del Multimedia Center del progetto EAThink 2015.