Dal 13 al 16 Ottobre, la città di Torino ha ospitato il Terzo Forum Mondiale per lo Sviluppo Economico Locale. “Il Forum è stata un’occasione per promuovere lo Sviluppo Economico Locale (LED – Local Economic Development) come mezzo per implementare la futura agenda globale e favorire la condivisione delle buone pratiche di politiche di governance locale nel mondo per uno sviluppo sociale, ambientale e economico sostenibile” (Fonte: Led Forum Torino 2015).
Si è discusso di sviluppo sostenibile, di innovazioni, della necessità di creare relazioni e rapporti positivi tra i soggetti della società civile, ma anche di cibo.
“Dal cibo come un bene al cibo come diritto” è il titolo di uno dei panel organizzati durante la giornata di Mercoledì 14, durante il quale sono emersi due punti in comune ai numerosi interventi succedutisi: ogni cittadino ha un ruolo da protagonista, è necessario costruire un nuovo paradigma del cibo.
Ognuno di noi è protagonista
‘L’uomo è ciò che mangia’, è la celebre frase del filoso tedesco Ludwig Feuerbach. Seguendo il suo pensiero, per capire cosa siamo, e soprattutto cosa vogliamo essere, dobbiamo fare attenzione a ciò di cui ci nutriamo.
Ma di cosa sono fatti i biscotti che gustiamo a colazione? O la pasta che, fumante sul tavolo, segna l’ora del pranzo ogni giorno? Prendiamo come esempio un prodotto semplice come un frutto, una banana. La banana contiene potassio, molte vitamine e altri nutrienti benefici per il nostro organismo, ma non è fatta solo di questo. Ogni alimento porta infatti con sé una storia. La banana che acquisti porta con se la storia del terreno dove è stata coltivata, degli uomini che lo hanno lavorato, che hanno accudito la pianta e raccolto i suoi frutti. Porta con sé la storia del camion usato per trasportarla, del guidatore e dei territori che ha attraversato prima di arrivare al tuo supermercato, nel tuo cestino e, infine, nella tua casa.
Quando acquistiamo contribuiamo alla costruzione di queste storie. Ma se ti dicessero che alcuni alimenti presenti nel tuo supermercato portano con se una storia di sfruttamento di terre e di esseri umani, di inquinamento, di furti e compensi non ricevuti, cosa faresti? È quasi surreale ma vero: l’80% delle persone che stasera andranno a letto senza cibo sono agricoltori, provenienti da paesi in via di sviluppo. Producono cibo ma muoiono di fame.
Le nostre azioni concorrono alla costruzione di realtà. Non si tratta di mettere in dubbio la libertà di scelta di ognuno, ma di migliorare la trasparenza delle etichette, di diffondere informazioni corrette e esaustive sui prodotti, per rendere le nostre scelte di consumo sempre più consapevoli. È nostra responsabilità come compratori chiedere da dove viene il cibo che acquistiamo e i costi reali di esso (sociali, economici e ambientali). Numerose sono le associazioni che operano sia a livello locale che internazionale, impegnate a sostegno della causa per un cibo etico e giusto, da cui possiamo farci guidare; come la World Fair Trade Organization o l’italiana Coldiretti, entrambe presenti durante la conferenza.
Il cibo come diritto è quello che non affida la questione a ‘pochi grandi’ ma che vede il protagonismo di tutte le persone umane. Siamo chiamati ad agire direttamente per cambiare l’idea di ciò che meritiamo.
Dobbiamo costruire un nuovo paradigma
Quanto detto non porterebbe, da solo, alla risoluzione completa del problema. Manca ancora qualcosa: una nuova prospettiva più ampia e complessa sul cibo. Una nuova visione condivisa.
Ad esempio, anche se singolarmente arrivassimo a non sprecare il cibo che acquistiamo ciò non significherebbe arrivare allo ‘spreco zero’ poiché devono essere conteggiate le perdite dell’intera filiera; perdite che non dipendono solo da problemi tecnici, ma anche da scelte estetiche: il 40% di ciò che produciamo non raggiunge la nostra tavola per problemi di “apparenza”. Secondo le indicazioni dell’Unione europea ad es. le banane devono essere lunghe più di 14 centimetri e la curvatura dei cetrioli non può superare i 10 millimetri.
Queste regole sono necessarie? Cosa possiamo eliminare e quali principi dobbiamo invece assicurare?
Lo sviluppo deve partire trattando il problema dalla sua base e allargando la riflessione a tutti gli ambiti coinvolti: dal ripensamento dell’intera filiera, dei metodi produttivi, dei diritti in gioco da rispettare, degli standard di qualità da fissare fino all’alleggerimento delle pratiche burocratiche e alla scelta delle politiche da adottare. Una riflessione che deve coinvolgere storici, sociologi, antropologi, tecnici, associazioni, amministrazioni pubbliche e il mondo politico e non solo.
Le politiche alimentari concorrono a determinare l’avanzamento o meno dello sviluppo di un Paese.
Sono già molti gli esempi virtuosi derivanti dall’adozione di buone pratiche in piccole località o su piccoli progetti. Un caso interessante, da approfondire e da cui prendere spunto, è quello della città di Curitiba, a sud del Brasile, dove ogni casa nuova riceve dal comune un albero da frutta e uno ornamentale, dove la spazzatura viene scambiata con buoni di acquisto, ma non solo. Un altro esempio, più vicino a noi, è quello della città di Torino, che sta lavorando per riuscire a servire nelle mense scolastiche solo menù composti da prodotti locali e stagionali, e acquistare dal commercio solidale quelli che la città non riesce a garantire.
Scritto da Sara Marsili nell’ambito delle attività del Multimedia Center del progetto EAThink 2015